Che cos’è il greenwashing, come nasce e come evitarlo

di Mirko Cuneo

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greenwashing

Molte aziende pensano che basti darsi un tocco di verde per sembrare eco friendly e conquistare la fiducia dei clienti. Così sono sempre di più le organizzazioni che ricorrono alla pratica del greenwashing per costruirsi un’immagine positiva agli occhi dell’opinione pubblica.

Cosa significa greenwashing? Costruire un’immagine ingannevole sulle tematiche legate alla sostenibilità ambientale può sortire davvero effetti positivi?

Il greenwashing è una pratica piuttosto diffusa che mira a costruire la reputazione dell’azienda sulla credibilità ambientale. Si fonda su strategie di marketing e comunicazione che enfatizzano e tendono ad esaltare le azioni green dell’azienda, veicolando messaggi ingannevoli e non corrispondenti alla realtà.

Viene definito anche come ecologismo di facciata, utilizzato per proiettare l’attenzione dell’opinione pubblica su aspetti positivi, occultando i comportamenti che hanno un impatto ambientale negativo.

Ricorrere a messaggi vaghi, senza mostrare certificazioni o marchi a sostegno delle proprie azioni, oppure mentire palesemente sulle qualità dei prodotti sono solo due esempi di greenwashing, ma ce ne sono molti altri.

La pratica del greenwashing, infatti, riguarda aziende di piccole, medie e grandi dimensioni, senza troppe distinzioni.

Tra i più noti casi di greenwashing appare anche il nome di Coca Cola, che utilizzava la stevia nella Coca-Cola Light per sostituire lo zucchero e definiva la bevanda a basso contenuto calorico.

Ricordi la bottiglia eco di Sant’Anna (la famosa Biobottle)? In questo caso, l’azienda ha ricevuto una sanzione perché le caratteristiche green descritte erano eccessive rispetto alla realtà.

Ma vale la pena puntare sul green quando un comportamento eco-sostenibile non fa parte del DNA aziendale? Come vengono percepite dal consumatore le pratiche di greenwashing?

Che cos’è il greenwashing

Negli ultimi anni si percepisce una crescente attenzione alle tematiche green e, temi come ecosostenibilità, impatto ambientale e riciclo, sono entrati a far parte della nostra quotidianità. Questo ha avuto ripercussioni sulle scelte dei consumatori e, di conseguenza, sulle pratiche aziendali.

Sono moltissime le imprese che hanno deciso di cavalcare l’onda ecologica per proporsi sul mercato con articoli più sani, meno tossici, riciclabili o prodotti in modo ecosostenibile. Ma, purtroppo, non basta tingersi di verde, con etichette e marketing ad hoc, per avere un’azienda attenta all’impatto aziendale.

L’attenzione all’ambiente ha portato a distinguere due tipologie di organizzazione: le aziende che si stanno muovendo per ridurre l’incidenza dell’impatto aziendale sull’ambiente e le organizzazioni che stanno facendo leva su un messaggio ambientale solo per motivi di marketing, mettendo in atto la pratica del greenwashing.

Ma che cosa si intende per greenwashing esattamente? Hai già sentito questo termine?

Nata dalla fusione dei termini inglesi green (verde) e washing (lavare), la parola greenwashing viene tradotta con “vestirsi di credibilità ambientale” o “ecologismo di facciata”.  Il neologismo è stato coniato a partire dal termine “whitewashing” che, letteralmente, vuol dire imbiancare, coprire o nascondere. Per cui greenwashing indica la pratica di ingannare i consumatori più sensibili alle tematiche ambientali attraverso un’immagine di sé attenta alla sostenibilità dei processi produttivi.

Come nasce il concetto di greenwashing e quali sono le motivazioni che inducono le aziende a praticarlo?

come nasce il greenwashing

Come nasce

Utilizzato per la prima volta nel 1986 dall’ambientalista Jay Westerveld, il termine greenwashing ha assunto una valenza importante nel dibattito pubblico degli ultimi decenni.

I primi soggetti accusati di greenwashing furono le catene alberghiere che invitavano i propri clienti a riutilizzare gli asciugamani più volte prima di metterli a lavare, per ridurre gli sprechi e l’impatto sull’ambiente.  Grazie a questi annunci apposti nelle camere, l’industria alberghiera ridusse i costi destinati al lavaggio della biancheria con enormi benefici in termini economici e d’immagine.

Durante gli anni sessanta, l’opinione pubblica iniziò a interessarsi alle tematiche ambientali, richiamando anche l’attenzione delle aziende. Fu in quegli anni che si verificarono i primi tentativi da parte delle organizzazioni di trasmettere un’immagine green.

Tuttavia, fu la crescente consapevolezza diffusasi durante gli anni ‘90 sull’impatto ambientale dei consumi a indurre le aziende ad adottare un marketing green, non sempre supportato da comportamenti adeguati. Questo modus operandi, nel tempo, è stato ripreso anche da organizzazioni politiche, enti e istituzioni che hanno cercato di conquistare il favore delle persone trasmettendo un’immagine etica e attenta alle questioni ambientaliste.

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Se alcune associazioni hanno effettivamente portato avanti le azioni proposte, sono moltissime quelle che si sono limitate a catalizzare l’interesse dei consumatori sul brand per distogliere l’attenzione da altri aspetti.

Da cosa scaturisce questo comportamento? Perché le aziende si proclamano attente all’ambiente se non hanno alcun interesse ad attuare atteggiamenti sostenibili e attenti all’ecologia?     

Perché le aziende cadono nel greenwashing

Nelle pratiche di greenwashing vengono date informazioni alterate, amplificate o totalmente infondate sui benefici ecologici dei prodotti o dei sistemi di produzione. In queste situazioni non c’è nessun impegno reale da parte dell’azienda, che sfrutta l’idea di sostenibilità solo per aumentare il consenso.

Il green marketing, al contrario, parte da una scelta consapevole sulle politiche aziendali, orientate ad un riscontro ecologico vero e proprio. Per cui non si tratta solo di rebranding, ridenominazione del prodotto o del rinnovamento nel packaging, ma di una ristrutturazione che coinvolge l’azienda ad ogni livello.

Non si può negare che le pratiche di greenwashing possano far gola alle aziende che vogliono capitalizzare in maniera semplice e veloce. Ci sono moltissimi casi di brand conosciuti che hanno cercato di far leva sul concetto di eco-sostenibilità come Ferrarelle, Coca Cola, Sant’Anna, che hanno amplificato i pregi dei loro prodotti, adducendo caratteristiche superiori a quelle reali. Ma praticare il greenwashing ha solo avuto ripercussioni negative sui brand, che hanno ricevuto sanzioni e subito un danno d’immagine.

Perché le aziende mettono in atto pratiche di greenwashing?

Enfatizzare le politiche green appare come una grande opportunità per le aziende che pensano di poter attrarre l’attenzione del consumatore in modo semplice, puntando su temi di interesse comune.

Ma la realtà è ben diversa e da molte ricerche è emerso che l’effetto del greenwashing non fa che diminuire la fiducia del consumatore. Le persone davvero attente all’ambiente percepiscono la differenza tra il green marketing e il greenwashing e riescono a distinguere le aziende che si muovono effettivamente in modo sostenibile. 

Vediamo quali sono le pratiche di greenwashing più attuate.

tipi di greenwashing

Tipologie di greenwashing

È facile incappare in aziende che si spacciano come green, ecosostenibili o che pubblicizzano pratiche che non corrispondono alla realtà.

Uno dei sistemi più diffusi e abusati per spacciare un’azienda come attenta alle politiche ambientali è quello di collegarla a immagini di paesaggi, scegliendo contesti naturali estremamente belli e ricchi di vegetazione. Gli esempi più comuni sono quelli di auto e moto che percorrono strade di montagna o le immagini del bucato steso al sole, lavato con un detersivo ricco di additivi chimici.

Gli esperti di marketing giocano spesso sull’uso di affermazioni vaghe ma che non danno informazioni reali e approfondite al consumatore. Ad esempio, presentare un prodotto come atossico costituisce un’informazione parziale se il riferimento è solo relativo ad usi particolari.

Cosa dire, poi, delle aziende che pubblicizzano l’uso di materiali meno inquinanti o non tossici ma che non forniscono alcuna prova a sostegno? Le innovazioni, così come i comportamenti etici, devono poter essere dimostrati attraverso certificazioni o dettagli. Ti spiego: se un alimento non contiene olio di palma è necessario indicare nella lista degli ingredienti quali alternative vengono utilizzate, altrimenti si tratta di un’affermazione incompleta e non verificabile.

Anche tra le tipologie di greenwashing, così come nel marketing, trova posto il prodotto civetta. In questo caso, invece di prendere un articolo e applicare un forte sconto con cui attrarre clienti, le imprese lanciano e promuovono un prodotto dalle caratteristiche green, solo per ottenere consensi. Tuttavia il resto della loro offerta rimane invariato.

La strategia di comunicazione più clamorosa, però, è quella basata sulla distorsione vera e propria della realtà. Alcuni produttori mentono apertamente sulla natura dei prodotti, pubblicizzandoli come eco friendy o benefici per l’ambiente, quando effettivamente non lo sono.

Chi sorveglia il greenwashing in Italia

Il greenwashing può essere considerato a pieno titolo una declinazione di pubblicità ingannevole, definita come una comunicazione in grado di influenzare il comportamento delle persone e indurle a errore. Questa pratica, infatti, contiene diversi elementi che possono trarre in inganno il consumatore e influenzare il comportamento economico, anche a danno della concorrenza.

Per questi motivi, il primo punto di riferimento a cui rivolgersi nel caso di greenwashing è l’Antitrust, l’autorità che vigila sulla concorrenza e contrasta le pratiche commerciali scorrette. È importante sapere che l’Autorità Garante può emettere pesanti sanzioni nei confronti delle aziende che violano la normativa sulle pratiche commerciali scorrette (tra le quali è inclusa la pratica di greenwashing) e ordinare il blocco immediato della campagna.

Le denunce possono essere recepite anche dall’IAP, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria o dal tribunale civile.

Per quanto riguarda la normativa di riferimento, oltre a quella sulle pratiche commerciali scorrette, bisogna anche tener presente il Codice di Consumo, che si occupa della tutela dei consumatori, e il Codice di autodisciplina dello stesso IAP.

Nel 2014, infatti, l’Istituto si è espresso in maniera chiara sulla comunicazione pubblicitaria di carattere ecologico, esigendo che abbia un carattere inequivocabile e che non si verifichino abusi sulle diciture relative alla tutela ambientale.

Altri strumenti che dimostrano la veridicità delle pratiche aziendali sono le etichette ambientali e le certificazioni.

Tra le più importanti ci sono le certificazioni secondo gli standard EMAS, le certificazioni ISO 140001, il marchio CE, i contrassegni per i prodotti pericolosi e l’etichettatura che indica la classe energetica a cui appartengono gli elettrodomestici.

come evitare il greenwashing

Come evitarlo

Abbiamo visto che la pratica del greenwashing è molto comune ed è semplice incappare in errori di comunicazione. Tuttavia, anche un’affermazione involontaria può danneggiare negativamente la brand reputation, con conseguenze pesanti sull’immagine aziendale e sul fatturato.

L’unico sistema per evitare le pratiche di greenwashing è porre la massima attenzione alle strategie di comunicazione utilizzate, puntando sull’autenticità e la trasparenza. Inoltre, è importante che l’azienda abbia continuità e dimostri la sua attenzione all’ambiente con attività costanti, orientate alla sostenibilità.

Puntare su azioni sporadiche o eventi solo per raccogliere consensi, alla lunga, può risultare controproducente. Prima o poi, infatti, la vera natura dell’azienda può emergere, facendo perdere totalmente la fiducia dei clienti.

Se la sostenibilità fa parte del DNA aziendale è fondamentale trasmetterlo all’esterno, con informazioni fruibili e puntuali. I dati, i report e i progressi vanno assolutamente condivisi, senza nascondere gli ambiti in cui si è ancora carenti. Non è facile raggiungere risultati eccellenti nel campo della sostenibilità ma i consumatori apprezzano anche i piccoli passi in quella direzione. Questo non significa autocelebrarsi e indirizzare tutta la comunicazione in una sola direzione. La comunicazione deve essere equilibrata e coerente con i valori propri dell’azienda.

Un aspetto da curare è il tone of voice, da adattare in maniera appropriata al brand, tenendo sempre presente il target. L’obiettivo di una comunicazione efficace è quello di avere un approccio professionale ma, allo stesso tempo, comprensibile e coinvolgente.

Allora, come si comunica la sostenibilità? So che sembra complicato ma si tratta di un valore aggiunto che sarebbe un peccato tralasciare. Ti spiego come fare.

Promuovi realmente la sostenibilità della tua azienda

Grazie alle conoscenze attuali, i consumatori hanno la possibilità di aumentare le proprie conoscenze e scoprire se un’azienda attua effettivamente dei comportamenti sostenibili. Questo significa che le pratiche di greenwashing, prima o poi, possono essere scoperte, attirando le critiche dell’opinione pubblica.

Per non cadere in pratiche di green washing è necessario comunicare in modo trasparente con i propri clienti, senza ricorrere all’eccesso o alla menzogna. I comportamenti positivi per l’ambiente devono entrare a far parte del modus operandi dell’azienda, attraversando ogni comparto dell’organizzazione. Quando si fanno affermazioni bisogna addurre dei dati a supporto che possano confermarne la veridicità.

Se il tuo non è un caso di greenwashing e vuoi che i consumatori lo sappiano, promuovi in maniera efficace il tuo brand. Contattami per una consulenza e ti aiuterò a comunicare al meglio i tuoi punti di forza e le politiche ambientali portate avanti dalla tua azienda.

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Mirko Cuneo

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