Great Detachment: aumentano gli insoddisfatti al lavoro

di Mirko Cuneo

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great detachment

Ti è mai capitato di fissare lo schermo senza riuscire a trovare un vero motivo per quello che stai facendo? Di contare i minuti che mancano alla fine della giornata mentre cresce dentro di te una sensazione di vuoto difficile da ignorare? 

Non è solo stanchezza, né semplice noia: è un distacco più profondo, che ti porta a svegliarti la mattina già pensando al weekend e a vivere ogni riunione come un peso in più sulle spalle.

Questo stato d’animo ha un nome: “Great Detachment”. Non è una moda passeggera, ma il sintomo di un malessere diffuso fatto di insoddisfazione, mancanza di riconoscimento e routine svuotanti. 

Colpisce in modo trasversale, ma è particolarmente evidente nella Gen Z, una generazione cresciuta con l’idea di realizzazione personale come obiettivo primario. Abituati a muoversi in un mondo rapido e fluido, i giovani lavoratori faticano ad accettare gerarchie rigide, ambienti poco inclusivi e mancanza di prospettive di crescita, elementi che alimentano rapidamente frustrazione e disconnessione emotiva.

Il fenomeno è in aumento e spinge sempre più persone, giovani e non solo, a restare in “pilota automatico”: presenti fisicamente al lavoro, ma mentalmente distanti. La sfida oggi è capire come trasformare questo distacco in un’occasione di cambiamento reale, prima che diventi la nuova normalità.

Cos’è il Great Detachment?

Dopo la Great Resignation, che ha visto milioni di lavoratori lasciare volontariamente il proprio impiego, e il successivo Great Regret, con il pentimento di molti che non hanno trovato alternative soddisfacenti, oggi si parla sempre più spesso di Great Detachment. Si tratta di un fenomeno meno evidente ma altrettanto significativo: non si lascia il lavoro, ma ci si “stacca” emotivamente e mentalmente da esso.

Secondo la ricerca HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, solo il 10% dei lavoratori in Italia dichiara di stare davvero bene a lavoro, considerando fattori come benessere fisico, mentale e relazionale. Una percentuale bassissima che fotografa un malessere diffuso, fatto di apatia, mancanza di motivazione e scarso coinvolgimento.

In questo scenario, crescono i cosiddetti “quiet quitters”, ovvero coloro che svolgono soltanto il minimo indispensabile richiesto dal proprio ruolo, senza andare oltre e senza entusiasmo. Non si tratta di pigrizia, ma piuttosto di una forma di autodifesa: molte persone, pur non lasciando il lavoro, cercano protezione e stabilità economica, preferendo mantenere le tutele del contratto, una retribuzione sicura e, quando presenti, benefit e politiche di benessere offerte dall’azienda.

Il Great Detachment rappresenta quindi un compromesso: si resta, ma senza reale partecipazione emotiva, puntando più sulla sicurezza che sulla realizzazione professionale. Un segnale chiaro che le priorità dei lavoratori stanno cambiando e che le aziende devono affrontare.

Great Detachment: la situazione in Italia

Andando a fondo della ricerca HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, il quadro del benessere lavorativo in Italia è tutt’altro che positivo: come menzionato nel paragrafo precedente, solo il 10% dei lavoratori dichiara di stare davvero bene, considerando fattori come salute fisica, equilibrio mentale e qualità delle relazioni sul posto di lavoro.

Anche l’engagement è ai minimi storici: soltanto il 17% dei professionisti si sente pienamente coinvolto nelle attività e negli obiettivi aziendali. Parallelamente cresce il fenomeno dei quiet quitter, che rappresentano circa il 14% della forza lavoro: persone che restano nel loro posto di lavoro ma svolgono soltanto il minimo indispensabile, senza motivazione né entusiasmo.

Nonostante una parte dei dipendenti – circa l’11% – abbia cambiato lavoro nell’ultimo anno e il 30% dichiari di volerlo fare nei prossimi 18 mesi, i dati mostrano un calo di chi si muove attivamente alla ricerca di nuove opportunità. La percentuale di chi sostiene colloqui, infatti, è scesa dal 58% al 52%, segno di un crescente senso di insicurezza economica legato all’inflazione e alle difficoltà del mercato.

In questo scenario, molti scelgono di restare dove sono, pur insoddisfatti, in cerca di protezione e stabilità, privilegiando la sicurezza del contratto, la retribuzione e i benefit esistenti. Il risultato è un ambiente in cui la motivazione si affievolisce e il lavoro diventa spesso una semplice routine, più che una fonte di realizzazione personale.

Il talent shortage e il Great Detachment

Uno degli aspetti più preoccupanti che si intrecciano con il fenomeno del Great Detachment è il talent shortage, ovvero la carenza di talenti. Sempre più aziende faticano a trovare e trattenere figure professionali qualificate, mentre i lavoratori, spesso disillusi, scelgono di fare il minimo indispensabile o di restare in posizioni che non li soddisfano pur di mantenere stabilità economica.

Questo squilibrio tra domanda e offerta di competenze crea un circolo vizioso: le imprese non riescono a coprire ruoli chiave, il carico di lavoro aumenta per chi rimane e il malessere complessivo cresce, alimentando ulteriormente il Great Detachment.

La situazione è ancora più complessa se si guarda alla Gen Z. Questa generazione porta con sé competenze digitali avanzate e una mentalità orientata all’innovazione, ma non è disposta ad accettare condizioni lavorative considerate “vecchio stile”. Cercano flessibilità, possibilità di crescita e ambienti di lavoro che riflettano i loro valori. Quando queste esigenze non vengono soddisfatte, preferiscono cambiare strada, anche più volte, o restare in una posizione solo come “ripiego”, senza reale coinvolgimento.

Per le aziende, il talent shortage è quindi una sfida duplice: non solo attrarre le competenze giuste, ma anche saperle mantenere nel tempo. Questo richiede:

  • Investimenti nella formazione interna, per sviluppare i talenti già presenti;
  • Politiche di benessere e work-life balance, che rispondano alle nuove aspettative;
  • Modelli di lavoro più flessibili, capaci di adattarsi alle esigenze individuali;
  • Percorsi di carriera chiari e personalizzati, per dare alle persone prospettive concrete di crescita.

Senza un cambio di passo, il rischio è quello di un mercato del lavoro sempre più polarizzato: da un lato aziende alla ricerca disperata di competenze, dall’altro lavoratori demotivati che non trovano il contesto giusto per esprimere il loro potenziale.

Great Detachment: le cause principali

Il Great Detachment nasce da una serie di fattori che spingono molti a restare al loro posto, ma senza entusiasmo né motivazione. È come vivere in una sorta di “pilota automatico”, dove ogni giorno diventa una ripetizione del precedente.

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Le principali cause di questo distacco possono essere riconducibili a:

  • Ricerca di stabilità economica e sicurezza: in un contesto di incertezza, l’idea di avere un contratto sicuro, uno stipendio fisso e qualche benefit diventa prioritaria, anche a costo di rinunciare alla soddisfazione personale.
  • Mancanza di riconoscimento e coinvolgimento: quando il tuo lavoro passa inosservato, senza feedback o valorizzazione, è naturale perdere motivazione e sentirsi poco considerati.
  • Scarso allineamento tra competenze e ruolo: spesso le persone non riescono a mettere a frutto le proprie capacità o a svilupparne di nuove, restando intrappolate in mansioni ripetitive che non stimolano né professionalmente né personalmente.
  • Assenza di opportunità di crescita: la mancanza di formazione continua e di percorsi chiari di carriera contribuisce a un senso di stagnazione.
  • Benessere trascurato: quando l’azienda non presta attenzione all’equilibrio tra vita privata e lavoro, agli orari sostenibili o alla salute mentale, il rischio di distacco emotivo aumenta.

Il risultato? Ti presenti, fai il tuo dovere, ma senza quella spinta interiore che ti fa sentire parte di un progetto più grande. È così che, lentamente, il lavoro diventa solo un obbligo e non più un’opportunità di realizzazione.

Che ruolo può avere l’AI nel Great Detachment?

L’intelligenza artificiale è ovunque: dalle chat che usi ogni giorno agli strumenti che semplificano il lavoro in ufficio. Ma ti sei mai chiesto che impatto reale abbia sul tuo coinvolgimento lavorativo? Secondo i dati, il 56% dei lavoratori utilizza già strumenti di AI nelle proprie attività quotidiane, ma solo il 26% delle aziende ha una strategia chiara per introdurli in modo strutturato.

Questo significa che, nella maggior parte dei casi, l’AI viene adottata in maniera spontanea, senza linee guida precise né un vero supporto da parte dell’organizzazione. Da un lato, questo può ridurre il carico di lavoro e liberare tempo, ma dall’altro rischia di aumentare la sensazione di disconnessione: se l’azienda non integra l’AI in un percorso di crescita condiviso, finisce per sembrare un semplice strumento per “fare di più con meno”, senza dare un reale valore alle persone.

Inoltre, solo il 13% delle imprese valuta concretamente l’impatto di queste tecnologie sul benessere e sulla produttività dei dipendenti. È qui che nasce il problema: quando manca una visione strategica, l’AI rischia di accentuare il senso di isolamento e di “sostituibilità”, spingendo ancora di più verso il Great Detachment.

Usata bene, invece, potrebbe diventare una leva potente per il coinvolgimento: automatizzare compiti ripetitivi, liberare spazio per attività creative, personalizzare la formazione e migliorare la comunicazione interna. Ma senza una direzione chiara, l’AI rischia di trasformarsi nell’ennesima tecnologia che ti lascia con la sensazione di essere solo un ingranaggio.

Cos’è l’approccio skill-based?

Uno dei modi più efficaci per evitare di cadere nel Great Detachment è lavorare in un contesto che valorizza davvero ciò che sai fare. L’approccio skill-based funziona proprio così: sposta il focus dal ruolo che ricopri alle competenze che possiedi e che puoi sviluppare.

Quando vieni riconosciuto per le tue abilità e hai la possibilità di crescere, è più facile sentirti coinvolto e motivato. Le ricerche dimostrano che nelle aziende che adottano questo modello l’engagement dei dipendenti aumenta dal 17% al 42% e cala il desiderio di lasciare il lavoro.

Ecco cosa significherebbe lavorare in un’organizzazione skill-based:

  • Mettere in luce le tue competenze: non sei definito solo dal tuo titolo, ma da ciò che sai fare e dal valore che puoi portare.
  • Accedere a percorsi di crescita personalizzati: puoi formarti, ricevere coaching e sviluppare nuove skill mirate alle tue aspirazioni.
  • Partecipare a progetti costruiti sulle tue abilità: vieni coinvolto in attività che ti permettono di dare il meglio, senza sentirti fuori posto.
  • Spostarti internamente con più facilità: se desideri cambiare area o ruolo, le tue competenze diventano la chiave per farlo.

In un sistema così, il rischio di vivere il lavoro in modo distaccato diminuisce. Ti senti più valorizzato, hai nuove sfide da affrontare e non sei più incastrato in una routine che ti spegne. È così che puoi ritrovare il senso di quello che fai, giorno dopo giorno.

Perché è importante una formazione continua

Se ti senti intrappolato nella routine e percepisci quel distacco tipico del Great Detachment, la formazione continua può essere la chiave per riaccendere la motivazione. Imparare cose nuove non serve solo a migliorare il tuo profilo professionale: ti aiuta anche a ritrovare stimoli, fiducia e un senso di direzione.

Pensaci: ogni volta che acquisisci una nuova competenza, aumenti il tuo valore e apri possibilità che prima non vedevi. Non è solo una questione di corsi o certificazioni, ma di avere strumenti concreti per affrontare i cambiamenti del lavoro e sentirti più sicuro nelle sfide quotidiane.

Investire sulla tua formazione significa:

  • Diventare più competitivo: sviluppare nuove skill ti permette di restare aggiornato e pronto alle evoluzioni del mercato.
  • Aumentare la tua sicurezza: quando sai di avere le competenze giuste, affronti il lavoro con meno ansia e più controllo.
  • Aprire nuove opportunità: puoi ambire a ruoli diversi o più stimolanti senza sentirti bloccato.
  • Ridurre il rischio di distacco: sentirti in crescita costante ti aiuta a vedere il tuo lavoro come un percorso, non solo come un obbligo.

Non aspettare che sia l’azienda a proportelo: cerca corsi, workshop, percorsi di coaching o anche semplici strumenti online per migliorare giorno dopo giorno. Credimi, investire su te stesso è il modo migliore per spezzare quella sensazione di immobilità e tornare a sentirti parte attiva del tuo futuro professionale.

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Best practice per HR e manager

Se lavori in HR o hai un ruolo di responsabilità, affrontare il Great Detachment richiede un cambio di prospettiva. Non basta più parlare di benessere e coinvolgimento: serve agire in modo concreto, partendo da pratiche che mettano davvero al centro le persone.

Ecco alcune strategie che puoi mettere in atto:

  • Mostra un impegno chiaro da parte della leadership: quando i vertici aziendali dimostrano attenzione al benessere e ai valori inclusivi, tutta l’organizzazione ne trae beneficio. Integrare obiettivi legati al coinvolgimento e al DEI (Diversità, Equità e Inclusione) nei risultati manageriali è un passo decisivo.
  • Rendi il reclutamento e la crescita interni più equi: utilizza processi di selezione trasparenti e imparziali, come il blind recruitment, e verifica che le opportunità di promozione siano accessibili a tutti, indipendentemente da genere, età o background.
  • Investi nella formazione su DEI e soft skill: proporre corsi su bias inconsci e inclusione, insieme a programmi di reverse mentoring tra generazioni, aiuta a creare un ambiente di lavoro più aperto e collaborativo.
  • Ascolta e analizza i dati: realizza sondaggi periodici sul clima aziendale e sull’engagement, usa strumenti di people analytics per individuare aree critiche e pianificare azioni mirate.
  • Crea policy e iniziative concrete di inclusione: definisci regole chiare per garantire pari opportunità e attiva comitati interni dedicati al DEI, capaci di proporre idee e monitorare i progressi.
  • Forma i manager alla leadership empatica: guida e coinvolgimento non si improvvisano. Offri percorsi di sviluppo che aiutino chi gestisce i team a comunicare meglio, a lavorare con gruppi multigenerazionali e a riconoscere le esigenze individuali.

Il futuro del lavoro

Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente, e il fenomeno del Great Detachment ne è una prova evidente. Le aziende si trovano di fronte a un bivio: continuare a ignorare il malessere crescente oppure ripensare profondamente i modelli organizzativi, le politiche di benessere e le modalità di coinvolgimento delle persone.

Le nuove generazioni, in particolare la già menzionata Gen Z, hanno un ruolo centrale in questa trasformazione. Cresciuti in un contesto digitale e globale, portano con sé aspettative diverse: cercano ambienti di lavoro inclusivi, flessibili e con valori chiari, in linea con la loro visione del mondo. 

Le loro interazioni sociali sono avvenute in un’epoca di connessioni costanti e accesso immediato alle informazioni, elementi che li rendono meno disposti ad accettare dinamiche tradizionali come la rigidità gerarchica o la mancanza di trasparenza.

Questa generazione vede il lavoro non solo come un mezzo di sostentamento, ma come uno strumento di identità e realizzazione personale. Quando queste aspettative vengono disattese, il rischio di disillusione e distacco cresce rapidamente. 

Allo stesso tempo, però, proprio la Gen Z può essere il motore di un cambiamento culturale: la loro richiesta di autenticità, equilibrio tra vita privata e professionale, e attenzione al benessere spinge le aziende a evolversi.

Si può dire che, quindi, il futuro del lavoro sarà sempre più legato a:

  • Flessibilità negli orari e nelle modalità di lavoro, per favorire un migliore equilibrio vita-lavoro;
  • Formazione continua e sviluppo di competenze, per dare alle persone strumenti concreti di crescita;
  • Ambienti inclusivi e collaborativi, capaci di valorizzare diversità e prospettive differenti;
  • Uso consapevole della tecnologia e dell’AI, integrata per semplificare e non per alienare.

Se le imprese sapranno ascoltare questi segnali e adattarsi, il fenomeno del Great Detachment potrà trasformarsi in un’opportunità di ripensare il lavoro come uno spazio più umano, sostenibile e motivante, in linea con le esigenze di tutte le generazioni.

Hai bisogno di aiuto?

Il Great Detachment non è solo una tendenza passeggera, ma un segnale chiaro che il mondo del lavoro sta cambiando. Se vuoi evitare che questo fenomeno prenda piede nella tua azienda, serve una strategia mirata che unisca benessere, engagement, sviluppo delle competenze e inclusione reale.

Posso aiutarti a costruire un piano concreto per affrontare queste sfide: dalla definizione di politiche di DEI, alla progettazione di percorsi di formazione continua, fino all’implementazione di strumenti per monitorare e migliorare il coinvolgimento delle persone.

Vuoi trasformare il tuo ambiente di lavoro in uno spazio più motivante, inclusivo e orientato alla crescita? Contattami per una consulenza e scopri come possiamo lavorare insieme per creare un contesto dove le persone non solo restano, ma scelgono di dare il meglio di sé.

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Mirko Cuneo

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